Archivio per anno: 2020

ELETTRIFICAZIONE DEI POSTE DE SANTÉ, LA PAROLA AL PERSONALE SANITARIO

Qualche giorno fa abbiamo interpellato il nostro partner locale in Senegal, l’organizzazione Energia per i Diritti Umani Onlus, con la quale stiamo portando avanti la campagna di elettrificazione dei presidi sanitari nel paese, con l’obiettivo di raccogliere alcune informazioni sulle cliniche rurali nelle quali interverremo prossimamente.

In principio queste informazioni dovevano rimanere funzionali all’analisi dei bisogni che abitualmente conduciamo per impostare le nostre valutazioni sulla capacità di generare reale impatto da parte delle nostre progettazioni,

 

ma poi leggendo il contenuto dell’intervista al Direttore del Poste de Santé di Ngueme, centro di controllo dei poste de santè dell’area del Comune di Sessene, ci siamo accorti di quanto fosse importante veicolarne il contenuto ad un pubblico il più ampio possibile, perché crediamo che una parte del nostro lavoro sia anche quella di sensibilizzare attraverso i dati e le informazioni in nostro possesso tutte le persone che vengono in contatto con noi.

 

Quindi, ecco di seguito l’intervista integrale a Fodé Sylla, Direttore del Poste de Santè di Ngueme, presidio medico che si trova nel Dipartimento di Mbour e nella Regione di Thies, in Senegal.

(Nota per la lettura: con la lettera “D” ci si riferisce alla domanda, mentre con la “R” si indica la risposta)

D: Quante persone accoglie, in media, il presidio medico ogni giorno?
R: In media, al giorno, accogliamo 50 persone con patologie di diverso tipo e visitiamo una trentina di donne in maternità. Ogni mese poi, vacciniamo all’incirca un centinaio di bambini entro il loro primo anno di vita, per via orale o iniezione, principalmente per la prevenzione di tubercolosi, epatite B, difterite, tetano, febbre gialla.


D:
Quante persone lavorano nel Poste de Santè? Quanti medici? Quanti infermieri?
R: Nel Poste de Santè lavorano una decina di persone: abbiamo 6 persone nello staff tecnico e 3 persone in quello operativo, di sostegno al primo.


D:
Quali sono gli interventi più frequenti che vi trovate a fare?
R: Essendo noi un Poste de Santè maggiormente specializzato sulle maternità, effettuiamo visite prenatali, parti, assistenza post-natale o post-aborto, screening per l’HIV e screening del cancro uterino.


D:
Quali strumentazioni avete a disposizione? Come sono alimentate?
R: Un dispositivo per monitorare il livello di emoglobina, un nebulizzatore per asmatici, un aspiratore elettrico e una lampada portatile. Tutte queste sono alimentate tramite un gruppo elettrogeno difettoso, che frequentemente si blocca o va in panne.


D:
Soffrite quindi di sbalzi o cali di corrente durante il giorno o la notte?
R: Sì, succede molto frequentemente.


D:
Di cosa avreste bisogno per migliorare il vostro lavoro e la vostra risposta ai bisogni?
R: Avremmo bisogno di un sistema di illuminazione stabile per l’interno della struttura, che non ci costringesse ad operare con luce precaria o portatile, e che permettesse al frigorifero nel quale conserviamo i vaccini un funzionamento adeguato. Ci servirebbe poi anche un ecografo per le donne incinta della zona, che camminano kilometri per farsi un’ecografia, e un’ambulanza per l’evacuazione d’urgenza dalla maternità.

 

Interverremo nella struttura di Ngueme con l’installazione di un sistema di elettrificazione solare dotato di pannelli solari e batterie di accumulo, che possa fornire energia pulita, stabile,  indipendente e gratuita a tutto il presidio medico per la sua illuminazione interna, che alimenti un sistema di ventilazione nella sala d’attesa (in Senegal la temperatura media supera i 30°!) e che ricarichi i telefoni cellulari del personale e degli utenti.

Tale sistema metterà a disposizione del presidio anche un frigorifero per la conservazione dei vaccini e uno sterilizzatore per gli strumenti medicali, che saranno allacciati all’energia solare e funzioneranno stabilmente ed efficacemente.

LO STAKEHOLDER ENGAGEMENT COME CONDIVISIONE DI CONOSCENZA

A inizio 2020 siamo stati ospiti dell’azienda Solarplay di Monza, sostenitrice dei nostri progetti già da alcuni anni, protagonisti di una giornata che l’azienda ha organizzato per fare conoscere la nostra organizzazione e le nostre attività, nonché i progetti che condividiamo in Senegal, ai dipendenti e collaboratori interni.

Non abbiamo lasciato nulla al caso, pianificando la mattinata nei minimi dettagli: la prima parte “teorica”, con i nostri racconti dall’Africa e la visione dei video riguardanti i progetti di Corporate Social Responsability sostenuti dall’azienda, la seconda parte invece pratica, con un workshop da noi guidato dove gli stakeholder aziendali avrebbero realizzato una lampada solare con le loro stesse mani.

“Non avevamo previsto però l’interesse così profondo e genuino generato nei nostri interlocutori, che ci hanno tempestato di domande ed osservazioni entusiasti dei progetti che la loro stessa azienda sosteneva.”

Ci siamo trovati a raccontare di quella volta che siamo rimasti bloccati per ore sotto ad un baobab perché il project manager locale si era scordato di venirci a prendere alla conclusione di un workshop, come delle strategie che ogni volta ci inventiamo per fissare i pannelli solari ai tetti delle case.

Abbiamo raccontato che alla base di ogni streetlight è necessario prevedere anche un modo per evitare che le capre e svariati altri animali ne abbattano il palo a testate e abbiamo risposto a tutte le domande e curiosità che ci sono state fatte.

“Nella condivisione di conoscenza la scommessa è sempre avvicinare due mondi che fino a quel momento non si conoscevano. Nelle aree rurali africane come in azienda.”

Alla fine di questa esperienza abbiamo capito che lo stakeholder engagement è uno strumento potentissimo di condivisione di conoscenza di cui le aziende dispongono per lavorare sulla cultura aziendale dei propri stakeholder, rendendola sempre più orientata all’idea di sostenibilità che vogliono trasmettere.

LITER OF LIGHT @ POLITO DESIGN WEEK

Quando abbiamo iniziato, a fine 2018, ad entrare con i nostri progetti nelle aule universitarie, lo abbiamo fatto con il Politecnico di Torino, in occasione del PoliTo Design Workshop, settimana accademica nella quale gli studenti dei differenti corsi possono scegliere di partecipare a workshop tematici di loro interesse.

Nel laboratorio da noi guidato, abbiamo parlato dei vari impatti che i nostri progetti possono generare localmente e di come una visione sistemica sia essenziale per lavorare nella cooperazione allo sviluppo. Abbiamo condiviso con gli studenti i nostri progetti e i nostri processi lavorativi ed abbiamo ricevuto in cambio molto interesse e motivazione ad approfondire e soprattutto a passare dalla teoria alla pratica.

“Ai ragazzi lanciammo una sfida: come comunicare un social business in una zona rurale africana?”

Da lì a poco saremmo infatti andati in Senegal per concludere un progetto con l’azienda Solarplay, che avrebbe anche finanziato un viaggio internazionale per il gruppo di studenti che meglio avessero raggiunto l’obiettivo da noi proposto.

I ragazzi si sono messi subito al lavoro e, a conclusione della settimana, la sfida è stata vinta dal gruppo composto da Simone, Luca e Andrea che sarebbero di lì a poco partiti per un’avventura del tutto nuova.

“Il bello di lavorare con giovani ragazzi e ragazze in un luogo stimolante come l’Università è stato ancora una volta mettere in comunicazione più mondi.”

Condividere il nostro lavoro è stata l’occasione per stimolare e farci stimolare a nostra volta, mettendo al centro i nostri progetti e arrivando grazie ad essi nelle aree più rurali e remote del mondo, a partire da un’aula universitaria del Politecnico di Torino.

ADI DESIGN INDEX – 2017

Dal 1956, l’ADI (Associazione del Disegno Industriale) riunisce progettisti, imprese, giornalisti, critici, ricercatori e insegnanti attorno ai temi del design: progetto, consumo, riciclo, formazione.

Due anni dopo la stessa ADI istituisce il premio “Compasso D’Oro”, primo riconoscimento in Europa al settore del Design. Da lì in avanti, il premio acquisisce prestigio sempre crescente fino ad arrivare al giorno d’oggi, dove rappresenta una vera e propria istituzione per il riconoscimento del talento e creatività applicati.

L’edizione 2017 del premio ha visto la candidatura di quasi 800 progetti, ma di essi solo 204 sono stati selezionati dall’Osservatorio permanente del Design di ADI. Fra le proposte ammesse al premio, la soluzione proposta da Liter Of Light Italia è stata inserita nella categoria “Design per il sociale”.

“Grazie alla collaborazione con l’Architetto Simone Gori, la struttura semplice, riciclabile e replicabile delle lampade solari di Liter Of Light è riuscita a ridurre all’essenziale uno strumento che, in alcune zone del mondo, da inaccessibile diviene quotidiano per coloro che ne beneficiano.”

Parliamo chiaramente del risvolto sociale che le iniziative e tecnologie di Liter Of Light portano nei contesti di povertà energetica e ruralità.

Lorenzo Enrico Nicola Giorgi (Executive Director Liter Of Light Italia) e Simone Gori (Designer)

Queste caratteristiche, unite alla natura open-source, alla riparabilità ed efficienza delle lampade sono risultate determinanti per accedere al Premio “Compasso D’Oro”, arrivando a ricevere nel 2018 il privilegio della “Menzione d’Onore” da parte del Comitato permanente di Osservazione e l’ingresso nella “Collezione Storica del Premio Compasso d’Oro ADI”.

“Il risultato ottenuto, a dispetto del bassissimo apporto tecnologico richiesto dalle lampade Liter Of Light, sottolinea come le invenzioni semplici possano generare un impatto su vasta scala”

Le difficoltà rendono creativi, e suggeriscono soluzioni talvolta geniali; dalle favelas di Rio De Janeiro a più di 20 Paesi, la soluzione di Liter Of Light passa per il Design italiano per tornare, arricchita, al sud del mondo ed alla ruralità, per portare la luce negli angoli più bui. Passo dopo passo.

Fondazione A.E.M.

Con Enel S.p.a. abbiamo sviluppato un progetto di trasferimento di conoscenza che ha coinvolto le scuole di sette paesi e tre continenti nel mondo, portando l’illuminazione a 12.400 persone.

ENERGIA PER LE EMERGENZE: NDIAO BAMBALI – SENEGAL

A un’ora abbondante da Kaffrine, raggiungibile attraverso l’assolata pista di strada battuta che congiunge gli agglomerati di capanne delle province rurali senegalesi, c’è l’ospedale di Ndiao Bambaly, presidio medico (Poste de santé) situato a 5 ore da Dakar, che serve 19 villaggi senegalesi ed è punto di riferimento per molte persone dal Gambia e dalla Casamance.

“Un percorso di co-progettazione lungo un anno”

 

 

Siamo stati all’ospedale di Ndiao Bambaly la prima volta a febbraio 2019, con la prima edizione senegalese del progetto Lightforce, programma di Corporate Social Volunteering supportato dalla sede parigina dell’azienda Salesforce e dai suoi partner europei.

Accompagnati dal nostro partner locale COMI – Cooperazione per il Mondo in via di Sviluppo e dallo staff medico del presidio, con il team di volontari aziendali di Lightforce, abbiamo avuto modo di comprendere come gli ospedali delle province rurali senegalesi siano in realtà piccole strutture prevalentemente off-grid o allacciate parzialmente alla fornitura di energia elettrica nazionale che, oltre ad esporli a frequenti cali di corrente, non consente di svolgere anche le più semplici azioni in sicurezza.

“I bambini nascono molto spesso alla luce dei telefoni cellulari, i cali di corrente sono dannosi per la conservazione dei vaccini e dei medicinali in frigorifero e la sterilizzazione degli strumenti di lavoro non sempre è possibile.”

 

 

A febbraio 2020, dopo numerose e-mail e telefonate con il team parigino della seconda edizione del Lightforce project, COMI e lo staff medico locale, siamo tornati a Ndiao Bambaly e abbiamo ottimizzato l’ospedale installando tre home light solution per illuminare tutti gli ambienti dell’ospedale anche nelle ore serali e alcuni pannelli solari sul tetto, fondamentali per il funzionamento continuato e indipendente del frigorifero per i vaccini e della sterilizzatrice.

 

 

 

LE NOSTRE TECNOLOGIE: MOBILE CHARGER

Un’ora di cammino all’andata, da ripetere al ritorno se non si è fortunati nel trovare un passaggio su ruota, motrice o trainata dalla forza animale.

Questo è il tempo normalmente utilizzato dagli abitanti di Sikilo, comunità della regione di Kaffrine, per raggiungere l’omonimo capoluogo e poter ricaricare i propri telefoni cellulari.

Sikilo si trova a 6km da Kaffrine, da questa distanza deriva il nome della comunità letteralmente “Six kilomètres”, la maggior parte della popolazione lavoratrice (?) della comunità passa la maggior parte della giornata nelle città per motivi lavorativi; i più fortunati nella vicina Kaffrine, altrimenti: Kaolack, Mbour o Dakar.

“Abbiamo accettato la sfida, l’obiettivo era di permettere un accesso green e gratuito alla ricarica di apparecchi mobili per le telecomunicazioni”

Una tale distanza tra le persone e gli affetti più cari richiede l’utilizzo delle telecomunicazioni e può trovare sulla sua strada alcuni ostacoli, uno su tutti: l’accesso all’energia elettrica.
La ricarica dei sistemi mobili è un problema molto sentito nelle comunità rurali, tanto da spingerle a richiederci a più riprese di intervenire in questo campo.

Abbiamo accettato la sfida, con l’obiettivo di permettere un accesso green e gratuito alla ricarica di apparecchi mobili per le telecomunicazioni

Da questa esperienza è nato il “Mobile Charger”, postazione solare di ricarica multipla per telefoni cellulari. Tale postazione permette la ricarica di due dispositivi in parallelo, per un totale di otto ricariche totali al giorno*, in maniera completamente autonoma e green.

“Un piccolo gesto per noi, due ore di vita quotidiana per Sikilo”

Le postazioni vengono installate in luoghi pubblici e accessibili delle comunità, così che possano essere liberamente fruibili e controllate.

Grazie a sistemi come il Mobile Charger abbiamo reso possibile l’accesso energetico al servizio delle telecomunicazioni, un piccolo gesto per noi, due ore di vita quotidiana per Sikilo.

 

*numero di ricariche riferito a smartphone di ultima generazione, telefoni meno “energivori” permettono un numero di ricariche maggiore nell’arco della giornata.

LE NOSTRE TECNOLOGIE: LIGHTBOX

Quando si parla di comunità rurale, immediatamente si formano nella nostra mente immagini di piccole case semplici, isolate, circondate dalla natura, dove pochi esseri umani vivono dei prodotti della terra. Un’immagine quasi idilliaca, romantica, dove la pace e la tranquillità vengono scandite dai ritmi della natura. Ebbene, la ruralità è sicuramente questo. Ma la ruralità è anche freddo, caldo, vento, pioggia, animali selvatici, carestie, calamità che vanno fronteggiate quotidianamente.

Facciamo un esempio. Immaginiamo di essere in un deserto di sabbia e di dover affrontare 45 gradi all’ombra per nove mesi consecutivi fino all’arrivo delle piogge. Dopodichè, immaginiamoci tre mesi di pioggia incessante, che trasforma le strade di sabbia in fiumi marroni, i pavimenti delle case in terra battuta completamente fradici. Il tutto senza poter accedere ad alcuna forma di energia elettrica, quindi niente luce se non dalle lampade a kerosene, niente condizionatori o riscaldamento. Niente frigorifero o telefono.

Questa è la realtà di Sikilo, In Senegal, ed è solo uno dei tanti villaggi rurali completamente off-grid con i quali dal 2015 opera Liter Of Light Italia.

 

Proprio questi interventi hanno portato i nostri tecnici ad interrogarsi su un sistema di illuminazione in grado di resistere a tali estreme condizioni. Dopo diversi anni di attività sul campo, test e confronti con la popolazione locale, Liter Of Light Italia ha sviluppato una tecnologia all’altezza: la lampada portatile “LIGHTBOX”.

Costituita da una scatola in plastica ABS chiusa ermeticamente, la lampada permette di essere ricaricata ad energia solare tramite un’entrata USB anch’essa a tenuta stagna. Una luce Led da 1,5 Watt sviluppa circa 60 Lumen di energia luminosa per 8 ore di utilizzo continuo. La LIGHTBOX è progettata per resistere agli urti ed impedire alla polvere di entrare e danneggiare il circuito, ma la carcassa della lampada rimane comunque ispezionabile e riparabile. La lampada presenta un’ottima resistenza all’acqua, rendendola performante anche durante le intemperie.

La LIGHTBOX è il più essenziale e resistenze
sistema di illuminazione Liter Of Light.

È possibile declinare la LIGHTBOX per diversi utilizzi: ad esempio, fissandola al tetto per avere illuminazione in un ambiente chiuso, oppure legata a sé o ad un mezzo di trasporto per illuminare una strada buia. Il sistema LIGHTBOX prevede una stazione di ricarica a cui possono essere collegate contemporaneamente fino a 5 Lampade grazie a un pannello solare da 10 Watt. Come la lampada, anche la stazione di ricarica è a prova di urti, polvere ed acqua, ed è al contempo ispezionabile e riparabile se necessario secondo l’approccio OPEN SOURCE di Liter Of Light.

Se da un lato gli aspetti tecnici ne mostrano le potenzialità, ciò che rende veramente la LIGHTBOX una soluzione innovativa, così come le altre soluzioni di Liter Of Light, non risiede tanto nella tecnologia e nel design, bensì nel processo grazie al quale si è pervenuti ad essi. Un processo che vede nord e sud del mondo uniti, che collaborano per ottenere un risultato comune. Una soluzione incentrata sull’essere umano e sulla sua resilienza, sostenibile nel lungo periodo, che risponda alle esigenze del contesto ma che al contempo venga compresa e impiegata dalla comunità rurale, seguendo gli ideali della sostenibilità e della dignità della vita.

Una soluzione pensata da e con la popolazione locale, per creare impatto reale e miglioramento della qualità della vita.

IL NOSTRO NETWORK

Nel tempo libero un meccanico si diletta ad “inventare” soluzioni per rendere più facile la vita domestica di tutti i giorni. Niente di sofisticato, qualcosa di semplice riutilizzando materiali trovati qua e là. Una invenzione in particolare spicca fra le altre, per la sua semplicità ed utilità. Il meccanico pratica un foro passante attraverso il tetto in lamiera della sua casa e vi alloggia una bottiglia di plastica trasparente contenente acqua e due tappi di ammoniaca. Come risultato, la luce solare che colpisce la bottiglia viene amplificata e irradiata all’interno della stanza, illuminandola per intero con una potenza di 60 lumen. Il meccanico ha appena creato un lampadario diurno che costa meno di due dollari americani.

Si dà il caso che il meccanico si chiami Alfredo Moser, e che la sua abitazione si trovi in una delle principali e più affollate favelas della città di Rio de Janeiro in Brasile. E si dà anche il caso che, come tutti i suoi vicini, il signor Moser non sia una persona particolarmente abbiente.

Alfredo Moser condivide la sua scoperta con gli abitanti della favela, e questi a loro volta la condividono con i loro conoscenti sparsi per tutto il Brasile, e dal Brasile questa semplice quanto efficace soluzione si diffonde nel resto del mondo.

Da una casa di favela, l’invenzione di una mente creativa ha oggi cambiato le vite di milioni di individui in condizione di povertà energetica ad ogni latitudine e si chiama Liter Of Light.

Questo non è che un esempio dei cambiamenti che può generare la condivisione di conoscenza, e di come una soluzione semplice ed accessibile a tutti può arrivare là dove gli interessi economici la fermano: agli ultimi, ai dimenticati, agli invisibili.

Il network di Liter Of Light, pur evolvendo tecnologia e modi d’intervento, ha fatto di questa filosofia il proprio punto cardinale, applicandola a tutti gli interventi che effettua nel mondo. Per far fronte alla drammatica mancanza di accesso a servizi di base come acqua potabile, energia, alimentazione, è impensabile continuare col fallimentare approccio assistenzialista che ha caratterizzato 80 anni di cooperazione internazionale.

È necessario condividere innovazione e conoscenza per generare business e concorrenza sostenibili su base locale che vada a beneficiare la popolazione locale.

Proprio in ragione di valorizzare l’imprenditoria locale, Liter Of Light ha da sempre perseguito l’obiettivo “zero espatriati”. Vale a dire che se da un lato vi è una collaborazione internazionale fra i team e sovente capita di effettuare trasferte all’estero, dall’altro tutti i professionisti coinvolti nel progetto lavorano nello stesso Paese dove risiedono.

Questa scelta permette di sviluppare, assistere e monitorare da vicino tutte le attività svolte sul campo fornendo un efficace supporto alle comunità beneficiarie; allo stesso tempo, quando è necessario effettuare uno studio di fattibilità oppure viene ideato un progetto, il personale è direttamente a contatto con le comunità e questo rapporto diretto massimizza l’efficacia degli interventi.

L’obiettivo “zero espatriati” è stato pensato anche in ragione della componente ambientale,
altro caposaldo di Liter Of Light.

La vicinanza geografica agli interventi effettuati riduce drasticamente i costi logistici (-70%) e conseguentemente le emissioni da essa generate. Lo spostamento su gomma o rotaia, ove possibile, genera un impatto ambientale esponenzialmente inferiore rispetto ai trasporti aerei, ed il trasferimento del know-how agli abitanti locali sulla manutenzione delle lampade lo abbassa ulteriormente.

È possibile pensare una cooperazione internazionale davvero inclusiva, responsabile, sostenibile ed efficace sul territorio, che crei resilienza ed opportunità per coloro che ne sono privi, ma per farlo bisogna partire dal basso: dai bisogni di queste persone e dal loro potenziale. Creare strumenti di reale condivisione, non di divisione.

Senza questi strumenti, continueremo a rattoppare il problema senza porvi rimedio, condannando così milioni di individui alla mera sopravvivenza.

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